L’agnello a Pasqua è tradizione italiana, ma è giusto proseguirla? Secondo Gambero Rosso no e c’è una ragione ben precisa

È giusto proseguire la tradizione italiana dell’agnello a Pasqua? Non secondo Gambero Rosso, e il motivo è proprio questo.

Mancano ormai sempre meno giorni a Pasqua, e per milioni di famiglie è giunto il momento di pensare a quello che sarà il menu per il pranzo della domenica. Da passare in compagnia dei propri cari, che siano amici o parenti. Come sempre succede, ci sono alcune tradizioni che vanno rispettate. O almeno, questo è quello che si pensa.

Agnello a Pasqua, una tradizione italiana da dimenticare
Ecco perché la tradizione dell’agnello a Pasqua è sbagliata – (Lacucinadinonnarita.it)

Basti pensare all’agnello, che viene cucinato nei modi più disparati ma che rappresenta un must nelle tavole degli italiani. Ma è giusto proseguire con questa tradizione? Non sempre. O meglio, secondo Gambero Rosso ci sono alcune motivazioni che potrebbero, e dovrebbero, spingere i consumatori a cambiare le proprie abitudini e valutare alcune alternative per il menu di Pasqua. Ecco che cosa dovete sapere, potreste cambiare idea.

Agnello di Pasqua a pranzo, ecco perché la tradizione è sbagliata

Se ancora non avete comprato l’agnello da cucinare per il pranzo di Pasqua, fermatevi subito. Secondo quanto riferisce Gambero Rosso, proseguire con questa tradizione italiana non è obbligatorio. L’allarme è emerso lo scorso anno, quando alcuni ambientalisti hanno fatto emergere un problema. Secondo cui smettendo di mangiare gli agnelli e quindi lasciandoli in cattività, questi si sarebbero potuti estinguere molto più velocemente.

Ecco perché l'agnello non andrebbe consumato a Pasqua
Le problematiche legate al consumo di agnello a Pasqua – (Lacucinadinonnarita.it)

Ora però c’è un’altra problematica emersa, e ne ha parlato il professore dell’università di Torino Leonardo Caffo insieme all’ex allevatore Massimo Manni. Stando alle loro parole, ad oggi il problema è il meccanismo di produzione. Pare infatti che non ci sia una distinzione reale tra gli allevamenti intensivi e quelli estensivi.

È una falsa questione quella dell’animale che viene trattato bene prima di morire. Il punto è che comunque viene ammazzato. Quando ho levato i figli alle madri, queste hanno urlato disperate davanti alla porta di casa mia“- ha spiegato Massimo Manni, che continua:Sono pur sempre esseri viventi, se lo compri dall’allevatore intensivo o dal pastore che ha cento pecore, non cambia nulla per l’animale“.

E non è finita qui, perché si è anche parlato di come la pratica della pastorizia abbia creato un ambiente specifico fatto di altre specie.Bisognerebbe fare degli interventi ecologici ed ambientali. Con persone in grado di capire cosa crea nel breve periodo la sottrazione della mano dell’uomo. La situazione in tutti i campi è talmente alterata che l’unica cosa che può salvare il disastro creato dall’uomo contro la natura, è l’uomo stesso che si allea alla natura“- ha concluso l’ex allevatore.

Impostazioni privacy